giovedì 4 giugno 2015

Di Venner, tradizionalismo e mitologia - v.1.0

Inizio anticipando scuse ai lettori per le mancanze degli accenti in parti del testo. Purtroppo le tastiere inglesi non perdonano ed io sono pigro nella rilettura.
Di recente, durante il navigare su faccialibro, ho visto un articolo di un Blog che richiamava alla memoria Dominique Venner, lo studioso che, in nome dei suoi ideali tradizionali/etnoidentitari ha deciso di togliersi la vita. L'articolo mi ha colpito non tanto per l'incensamento od una pruderie antifa(*), quanto per il fatto che e` un'ottimo esempio della cosiddetta "cultura di destra".
Il senso che ricavo dal leggere questo quanto i commenti che lo accompagnavano su Facebook sembra riassumibile in una frase: "Dominique è morto, quindi la nostra lotta ha senso. "
Ma di che lotta stiamo parlando?

Il pensiero tradizionalista nasce, secondo i piu` maliziosi(1), assieme alla rivoluzione francese, quando la riscoperta dei classici negli ambienti borghesi ed aristocratici venne portata avanti come se fosse una moda culturale, qualcosa da "uomini dabbene" che li leggevano senza mai dedicarvisi  troppo (non era ben visto essere intellettuali tout court) e che ne interpretarono gli insegnamenti in modo a dir poco dilettantistico.
Dal punto di vista storico invece, il tradizionalismo ufficialmente nasce quando una selva di reazionari, da De Maistre a Spengler, passando per Guenon, decidono che per i loro fini politici o spirituali il passato diventa una brodaglia unica ed usabile a proprio uso e consumo, rappresentandolo come un lungo filo rosso continuo che viene spezzato, ahinoi , dal cattivissimo mondo moderno. Questo "filo rosso", che può essere di carattere etnico o perenne(2), chiamato Tradizione, e` decisamente esoterico ed ovviamente rende figo chi ci crede e brutto e cattivo chi no(3).
Il problema e` che, appunto, non avendo appigli storici (chi ama la storia e non fa parte di questa corrente ideologica - sia esso di destra o sinistra conta poco - non può vedere la storia come un continuo di qualsiasi tipo), questo pensiero si basa su una fede vera e propria. E` proprio Evola che, nell'introduzione del suo masterpiece dove copia e vomita gli autori gia` citati, sostiene che la Tradizione non sia una verità storica, ma "metastorica"(4).
Il problema della fede e` la sua impossibilità nell'andare a nozze con la razionalità e la scientificità. Se è sensato sostenere che Federico II era amante delle arti ed un imperatore interessato molto all'Italia, dimostrare che è l'incarnazione di un axis mundi che vive ed è presente nella storia da sempre perché assomiglia a qualche altro imperatore o all'archetipo dell'Imperator diventa più un esercizio retorico, senza troppe basi reali.

Il mantenere una fede si può fare in molti modi ed il cristianesimo lo dimostra bene.
Secondo Furio Jesi, la cultura di destra si esprime con il cosiddetto "lusso spirituale" ovvero, semplificando anche troppo, un insieme di retorica che si prefigge il dimostrare un arricchimento tramite la sola ostentazione di Paroloni con la maiuscola. Difatti ogni tradizionalista, nonostante creda alle "idee senza parole" (citando Spengler) ha la tendenza a parlare e parlare, in un attacco logorroico davvero ammirevole, dove le maiuscole abbondano e le frasi hanno poco senso, nonostante siano strutturate per sembrare di essere capite. Se qualcuno dice che non le capisce, in realtà e` un profano, mentre per guadagnare una dignità attraverso questo lusso basta dire di comprendere il senso profondo ed il gioco è fatto.
 Perché noi, Alfieri della Tradizione, versiamo il nostro Sangue nel continuo ricordo dei nostri Antenati. Questo mondo decadente sarà sommerso dalla sua stessa cupidigia e verrà un nuovi Axis Mundi alla fine del Kali Juga, restaurando l'era del Cinghiale Bianco ad i suoi antichi fasti. Noi, Giovani d'Europa, incarniamo questa Lotta immortale che ci viene data in eredità. Saremo all'altezza della Storia? Certo che si, noi siamo la Storia incarnata!

Dicevamo, la fede, essendo irrazionale e quindi non potendo basarsi su prove - altrimenti sarebbe ragione e logica - deve alimentarsi. Se l'alimento preferito nel cristianesimo e` la credenza nei miracoli e la lettura dei libri e nell'annullamento del senso critico, nel tradizionalismo spesso si vede anche un semplice auto-compiacimento, talvolta la militanza, ma in alcuni casi eccezionali i martiri.
Il martire e` da sempre un sinonimo di fede. Per chi non ha conoscenza di lettere o la fortuna di assistere ad un miracolo, un santo a caso che muore mangiato dai leoni vale più di mille prediche.
Il bisogno che ha quindi una religione di trovare motivazioni per proseguire nella fede e` fatta sia dai comportamenti del soggetto che ci crede che dall'esempio che ne danno gli altri.
Se entriamo nei campi delle scienze, si potrebbe parlare semplicemente di "bias": in questi casi, uno crede in qualcosa, opera in modo da rispettare questa credenza ed infine utilizza il suo operato stesso per giustificare il fatto che crede, entrando in un circolo vizioso (virtuso, direbbero ovviamente i credenti) dove il senso critico scompare per lasciare spazio ai soli gesti auto-confermanti.
Non e` un caso se Codreanu si dimostrava estremamente ostile al ragionamento logico-scientifico(5): per lui l'azione era giustificata in quanto tale ed era vera azione solo quando proveniva dalle profondità della stirpe stessa. Lui, rumeno, non "ragionava" ed agiva perché era la sua "romenita`" ad agire. Citando Brullonulla "per lui "politica ragionata" era una contraddizione in termini".
Stesso si può dire della citazione più famosa di Pound: la lotta per le idee vale solo quando si agisce per queste, queste sono valide solo se agisci. L'assurdo, senza cadere nella facile epistemologia, e` che per Pound e Codreanu se io lotto per gli elefanti rosa, vuol dire che questi sono una buona idea e sicuramente simbolo di italianità . Nessun matematico invece morirà mai per dimostrare che 2+2 fa quattro, tanto e` banale ed e` proprio per questo che le teorie economiche, (pseudo)scientifiche, politiche e sociali in ambiente tradizionalista sono assolutamente inutili e controproducenti, totalmente avulse dalla realtà.

Uno dei rischi più grandi di una fede come questa, basata sulle parole, e` l'assuefazione alle parole stesse, prima ancora dell'intervento del raziocinio. I testi tradizionalisti, come già detto, sono logorroici , cosi` come lo sono i loro seguaci. Un grosso evento, come un miracolo o un martirio, rompe l'assuefazione e ricompatta il gruppo. Mishima, come Venner, sono dei martiri di questo lusso spirituale, forse essi stessi morti per confermarsi che avevano ragione, in un estremo e perverso confirmation bias. Ma questo e' indimostrabile quanto eccessivamente malizioso (perdonatemi).
Dimostrabile è invece la fame di simboli, così tipica del lusso spirituale, che circonda questa morte.
Il problema dei simboli, essendo "riposanti in sé stessi", e` che ognuno può farne ciò che vuole: di certo loro non si opporranno. Il pensiero magico e` un pensiero simbolico, che permette di associare ad una cosa qualsiasi cosa, a dispetto di casualità e talvolta di logica. Così Venner muore per la sua "identità", per la "famiglia", per "gli antenati", per "la Francia", ovvero per tanti simboli che non hanno valore storico (6) ma che, essendo riposanti in sé stessi, sono veri, indefinibili, indimostrabili e perciò veri (processo simile al "backfiring effect", ovvero quel bias che ti convince che hai ragione appunto perché tutto dimostra che hai torto), "idee senza parole" che quindi vivono nella storia che non esiste ma contemporaneamente c'è . Quindi non solo Venner si giustificava così, ma non è nemmeno difficile per i suoi esistimatori paragonarlo ai gesti leggendari degli antichi romani, spartani, elleni  ed infine miti anglosassoni. Non è difficile associarlo ad un Mishima, ad un Samurai con l'etica del Bushido. Lo si potrebbe associare ad un Hitler quanto all'ufficiale dell'armata rossa circondato a Stalingrado. Non stupirebbe se uno potesse associare la morte a quella di Obi Wan Kenobi, inserendo nel discorso tradizionalista il cinema hollywoodiano, buttandoci un po' di Nietzsche ed anche - perché no? - il Mahabharata ed i nobili saggi che si sacrificano degli I-Ching.
Alla fine, quando si associano simboli, tutto fa brodo per portare avanti la propria teoria.


I simboli, riprendendo il discorso precedente, si trovano un po' in tutta la produzione tradizionalista e ne diventano la stessa essenza, ma addirittura una volta che puoi incastrare il mondo nei tuoi filtri, nulla è davvero al sicuro ed ogni cosa è sacralizzabile e simbolicizzabile. Basti vedere l'antipatia per certi stati e certe etnie o religioni, associate all'usura ed a leggende medievali sugli omicidi, che trasformano il tutto in teorie economiche "contro l'usura". Chissenefrega se con quelle teorie la gente morirebbe di fame, l'importante è il simbolo, una volta risolto quello il resto magicamente si sistema.
Stesso dicasi nella lotta, più o meno accentuata a seconda della scuola, contro la scienza, dall'anti-darwinismo alla libera rivisitazione della genetica in chiave razzista (vedasi le note 2 e 8) passando per i diritti degli animali contro la medicina.
Così, simbolo dopo simbolo, interpretazione libera dopo interpretazione libera, si ottiene quell'effetto un po' comico ed un po' inquietante già preso in giro da Crowley quando, scherzando involontariamente anche su sé stesso, diceva che si poteva tirare fuori una verità esoterica, quindi incomprensibile ed inconoscibile per definizione, perché "senza parole", anche dalle filastrocche per bambini come Humpty Dumpty(7). Questa interpretazione libera però resta indicativa di molte cose del tradizionalismo , sia riguardo il potente fascino che esercitano questi memi(8) sulle persone, sia perché a furia di parlare di metastoria, metafisica e metapolitica, si entra nel regno della metarealta`, ovvero in un mondo di fantasia che diventa più vero del mondo reale.
La chiamavano alienazione una volta, bei tempi..

PS: se provate brutte sensazioni dopo aver letto questo post, potete leggere qui e qui

Link interessanti: 1, 2, 3


Le note sono in ordine sparso, la 2 è in fondo per agevolare la lettura della 2 e della 7 che sono praticamente conseguenti
(*)NOTA MOLTO LUNGA (e non essenziale per comprendere il post) -  Sono contrario al termine "antifascista": lo trovo degradante per ogni pensiero che abbia sostanzialmente una visione un po' più complessa della realtà. Posto che l'articolo parla di Tradizione (ovvero una delle correnti del Ur-fascismo così come descritto da Eco), il fascismo è essenzialmente figlio della destra, ovvero quel "modello di analisi della realtà" che vede una società pacificata e virtuosa rovinata dalla presenza di nemici di vario tipo. Una volta eliminati questi nemici, siano essi interni od esterni, la società potrà tornare ad essere quel paradiso che era prima. La differenza tra le teorie di sinistra è che queste prevedono invece una società divisa in "classi" in lotta fra loro perché gli interessi di ciascuna di queste spesso non coincidono. L'idea di società pacificata a sinistra è idealmente una società dove o le classi trovano dei punti di accordo, oppure dove qualche classe scompare perdendo la battaglia. E' facile capire perché spesso destra e sinistra si contaminino senza alcuna contraddizione: se la classe borghese, per esempio, è nemica della pacificazione della società, non è ben chiaro se stiamo parlando di Freda o di Mao, in quanto è presente sia l'idea di classe da eliminare che di nemico interno della società.
Inutile dire che il modello destrorso è inadatto alla realtà, ma lo è anche quello di sinistra, anche se non sembra più facilmente riscontrabile: le classi non sono mai dei compartimenti stagni, perché spesso gli stessi individui hanno interessi e scopi diversi, così come vari giochi di potere come condizioni economiche posso cambiare radicalmente determinate situazioni. Le miriadi di teorie marxiste fallite in questi secoli dovrebbe fornire sufficienti prove dell'inutilità di un approccio simile.
Tornando a noi, il fascismo in quest'ottica è solo una delle tante varianti di questa destra per via della sua scelta dell'idea di società virtuosa e di nemici da eliminare. Se i nemici sono gli ebrei e la società virtuosa è un covo di teppisti che comanda delle persone di razza pura abbiamo il nazismo; se i nemici invece sono gli statalisti e la società virtuosa è una anarchia capitalista abbiamo la Rand; infine, sempre a titolo d'esempio, se i nemici sono gli "imperialisti" e la società virtuosa è un socialismo comunitarista abbiamo il rossobrunismo.
Fatta questa premessa, non sopporto il termine "antifascista" perché illude che l'idea avversata sia una ideologia di tutto rispetto, contrastata solo perché non la si condivide. In realtà, essendo il fascismo una ideologia vuota riciclaggio di varie idee incollate alla pene di segugio per pura funzione di supporto al potere che si vuole ottenere o che si ha, ha più senso sostenere che la luce sia "antibuio", in quanto c'è gran poco da contrastare. Per questo trovo poco sensato definire me stesso un antifascista, dato che sarei contrario a dei modelli di cui il fascismo è solo uno dei tanti risultati. Semmai sono un razionalista, in quanto la razionalità mi suggerisce che sia la visione di destra che quella di sinistra siano molto carenti nel fornire un modello coerente della realtà. Ovviamente chi crede che quel modello funzioni spesso ritiene che la realtà sia sbagliata, ma di questo ne parlo dopo nell'articolo.

(1) Furio Jesi - Cultura di Destra; anche se Eco identifica il T. come nato nella tarda età ellenistica come reazione al razionalismo che aveva portato progressi nel campo tecnoscientifico pari a quelli dell'Europa settecentesca
(2) dipende dalle scuole di pensiero. Alcuni sono "perennialisti", ovvero credono che la T. sia un fenomeno legato alla specie umana, in cui ogni riferimento culturale punta agli stessi identici concetti esoterici; quelli "etnici" invece ritengono che la T. sia una questione razziale, quindi probabilmente legata ad un paio di filamenti di DNA portatori di una qualche magia o ad improbabili classificazioni della faccia. Inutile qui rinvagare cose già dette nell'articolo su Tipologie Europidi/Ethnopedia, ovvero che persino il concetto di "etnia" attualmente sta venendo abbandonato in favore del concetto di "cultura", in quanto le differenze genetiche per giustificare suddivisioni razziali o etniche sono incosistenti. Aggiungerei che penso sia molto difficile per molti tradizionalisti accettare uno ius culturae spirituale per le ragioni della nota 8
(3) Ma questo discorso è già stato trattato altrove nel blog e da psicologi dedicati ai fenomeni settari e alla persuasione (Margaret Singer, Cialdini, ecc.)
(4) J. Evola - Rivolta contro il Mondo Moderno;
(5) Codreanu - Il Capo di Cuib
(6) a costo di ripetermi ricordo che questi simboli sono "metastorici", ovvero esulano dalla storia che in effetti non ne da' conferme. Ironico che chi dice di difendere la storia alla fine debba negarla. Citando invece anche altri tradizionalisti da tastiera: "l’Identitario (una delle forme politiche del T. ndA) non ha alcun bisogno di riferimenti storici che avvalorino la propria weltanschauung, poiché la Storia stessa e la sua incessante armonia di scontri ed incontri è la sua visione del mondo." grassetto mio.
(7) A. Crowley - Magick

(8) Il tradizionalista penso rifiuti il termine "meme" e preferisca "archetipo", perché il secondo nasce prima o con l'uomo o addirittura è increato, il primo invece è prodotto dall'uomo in una determinata contingenza (è parte della cultura o è cultura stessa). Accettare che esistono memi e non archetipi, a dispetto del rasoio di Occam, significherebbe togliere ogni metafisica ai valori che con questi archetipi sono identificati, rendendoli così da trascendenti a quello che sono, cioè il prodotto di esseri umani, per questo criticabili e soggetti all'essere definiti da una società a seconda del tempo che sta vivendo. Idem per la questione della "cultura" invece che della "etnia": se la supercazzola permette di associare a dei filamenti di DNA una qualità ontologica - pena anche la pessima comprensione della biologia - dire che la cultura dona una qualità ontologica è molto più difficile ed inaccettabile per chiunque, in quanto la stessa cultura si acquisisce. Non avrebbe quindi, per il tradizionalista etnico, più senso il criticare, chennesò, un tizio dello Zimbawe che crede in Odino. Ciò renderebbe il loro impegno politico e identitario, frequente in questi gruppi (l'articolo citato all'inizio si può trovare anche qui ripreso pari pari da una associazione politicamente schierata), insensato a priori, dato che il sostegno allo ius sanguinis diverrebbe sostegno allo ius culturae. Ovviamente, come dicevo prima, ogni gruppo avendo il suo tradizionalismo avrà sicuramente il suo approccio all'argomento personalizzato (ad esempio lo ius culturae potrebbe esser sostenuto benissimo da un guenoniano).
Ma perché questi simboli sono così affascinanti per certe persone? Perché c'è più carisma in un sapere ancestrale che in un paradiso dei lavoratori o nel superamento dell'essere umano? Probabilmente è lo zeitgeist post-moderno e la sua paura verso il futuro sommata al conto da pagare per scelte scellerate passate che fa vagheggiare i bei tempi andati, ma è anche vero che questa cultura è essa stessa una cultura di facile consumo, che gratifica senza richiedere molta fatica o molto studio per poterne fare già parte e riceverne tutti i vantaggi: si può entrare in un gruppo di tradizionalisti anche senza aver mai letto un libro a riguardo ma solo avendo simpatia per queste idee; al contrario sarebbe impossibile in campo accademico accedere ad un dibattito tra intellettuali o scienziati senza avere una conoscenza sopraffina dell'argomento trattato. In una società dove l'appagamento veloce è più importante di quello nel lungo periodo, una cosa simile può fare la differenza., non è forse un caso che questa sia l'epoca dei complottismi e della analfabetizzazione della politica. In più, c'è sempre il già citato fattore tribale/settario, mai da sottovalutare.

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